MI stupisco ogni volta.
Sono appassionato di mare, di pesci che attaccano con violenza, che ‘tirano’. Adoro vedere una canna da 20 libbre che si piega in traina, sentire la musica del mulinello, avvertire la forza del pesce allamato.
Eppure quando vado a coregoni, sul lago, mi trasformo. Mi ritrovo a fissare il vettino per ore ed ore, in attesa di quel tremolio, a volte impercettibile, trasmesso da un pesce che non addenta, ma succhia l’artificiale, pronto a sputarlo immediatamente. Mi ritrovo a dover dimenticare le ferrate che si danno al mare, a volte ripetute, per far penetrare ami oltre lo 0. Mi devo dimenticare il concetto di frizione regolata sulla tenuta dl filo. Qui gli ami sono del 14, il filo dello 0,16, la frizione va regolata sulla bocca del pesce, la prima a lacerarsi, e senza sapere come il pesce è allamato, e di che taglia è. E’ una bella sfida , e forse per questo mi piace. Insidiare e battere il pesce con artificiali costruiti da me, poi, è il massimo della soddisfazione. E non si tratta di pescetti, anzi. Il mezzo chilo è la norma, spesso si va sul chilo, e dieci giorni fa ho avuto la fortuna (perché di fortuna si tratta, e non di abilità) di portare in barca un signor coregone da 1 chilo e 900. Sembrava proprio un salmone( la famiglia è la stessa).
Tornando allo ‘stupore’ iniziale, sembra incredibile che cacciare un pesce possa trasformare un impaziente irruento come me in un calmo, riflessivo e soprattutto paziente pescatore. Oggi ho fissato quel vettino per quasi otto ore, sotto il sole (ho messo ombra…) indifferente a tutto quanto avveniva intorno, dai traghetti condotti da incoscienti, agli insensati delle scuole di sci acquatico, ai def.. con la moto d’acqua, e tutto per portarmi a casa i 6 coregoni che i regolamenti consentono.
Maledetta (o benedetta) passionaccia…