(omaggio alla bella Magda) :-)
IL PECORAIO DAGLI OCCHI A STELLA
Dov’era, dove non era, c’era una volta un terribile re. Egli aveva un enorme potere e tutti i popoli del mondo avevano paura di lui. Vedendolo già da lontano, cominciavano tutti a tremare come foglie di pioppo. Quando egli starnutiva l’intero paese doveva dire: «Alla sua salute!» Nessuno osava non dirlo, salvo un giovane pecoraio dagli occhi di stelle. Quando questo terribile re seppe di lui s’arrabbiò molto ed ordinò di catturarlo.
«Eccolo, Maestà, è proprio lui che non vuole dire: 'Alla sua salute!'
Il re arrabbiato disse urlando al pecoraio:
«Dimmi subito: 'Alla mia salute!'»
«Alla mia salute!» disse il pecoraio dagli occhi di stelle.
«Non a te, a me, mascalzone!» urlò il re.
«A me, a me, Maestà!»
«Ma a me, tu, disgraziato!» urlò il re fuori di sé «Dimmi immediatamente: 'Alla salute, Maestà'!»
«No, io non lo dico finché sua figlia non sarà mia moglie!»
La principessa si trovava nella stanza e questo pecoraio coraggioso le piacque, avrebbe perciò volentieri accettato di diventare sua moglie, ma non ebbe coraggio di manifestare questa sua volontà. Il re non fu affatto contento, anzi la sua faccia cambiò dalla rabbia anche colore: diventò viola, verde, azzurra e subito ordinò di rinchiudere il pecoraio nella prigione:
«Buttatelo nella prigione in cui si trova l’orso bianco che non mangia nemmeno un boccone già da tre giorni. Il pecoraio pensò di perdere subito la vita. Miracolo nel miracolo! L’orso bianco invece, come vide gli occhi a stella del pecoraio, si ritirò nell’angolo più lontano della prigione e non lo toccò.
La mattina successiva arrivò il siniscalco per raccogliere le ossa del pecoraio, sicuro che egli fosse stato mangiato dalla bestia affamata. Fu stupito di trovarlo in ottima salute! Lo ricondusse dal re.
«Pecoraio, sei stato vicino alla morte. Tu, mascalzone, dirai adesso finalmente 'Alla sua salute, Maestà!'?» gli intimò il re.
Il pecoraio invece gli rispose:
«Non ho paura neanche di dieci morti! Lo dirò solo se la principessa sarà mia moglie!»
«Vai alle dieci morti! Buttatelo nella prigione dei dieci ricci giganti!»
Il pecoraio stavolta ebbe un problema non da poco. I dieci ricci giganti non diventarono gentili e calmi giacché egli non poté guardare nei loro occhi contemporaneamente. Fortunatamente, sotto la mantella egli aveva un flauto straordinario: non appena lo suonò, i ricci giganti si misero a ballare finché non crollarono sfiniti. La mattina il siniscalco lo ritrovò tutto intero:
«Sei ancora vivo?»
«Sì, e non morirò finché la principessa non sarà mia moglie!»
Il guardiano lo condusse davanti al re.
«Allora, ragazzo, eri nella gola delle dieci morti. Mi dici finalmente 'Alla sua salute, Maestà!'?»
«Lo dirò soltanto se la principessa sarà mia moglie!»
«Portatelo allora alla prigione delle cento morti!» urlò il re con gran furia.
I guardiani portarono il pecoraio dagli occhi di stelle nella prigione delle cento morti in cui c’era un pozzo dalle cui pareti interne uscivano cento falci ed al fondo del quale c’era una fiamma. Chi vi veniva buttato non rimaneva vivo, era destinato a morte sicura!
«Ehi, povero me...» pensò dentro di sé il pecoraio dagli occhi di stelle «questo non è affatto uno scherzo!» Disse ai guardiani di uscire un po’ dalla prigione perché voleva riflettere se dire 'Alla sua salute, Maestà!'. I soldati uscirono ed il pecoraio attaccò la sua azza al parapetto del pozzo poi pose sopra la sua bisaccia, il mantello e il cappello e si nascose nell’angolo buio della prigione. I soldati rientrarono e gli chiesero:
«Allora ci hai ripensato?»
«Ho riflettuto, ed ho deciso di non dire: 'Alla sua salute, Maestà!'» rispose loro.
«Se non lo dirai, allora dobbiamo gettarti nel pozzo.»
I soldati credettero che la sagoma accanto al pozzo fosse il corpo del pecoraio e ve lo buttarono. Quando videro il fuoco spegnersi pensarono che il pecoraio fosse sicuramente morto.
La mattina successiva arrivò il siniscalco per accettarsi personalmente della morte del pecoraio dagli occhi di stelle. Non volle credere ai suoi occhi: era seduto accanto il pozzo e suonava il suo flauto. Lo riportò davanti al re che gli disse:
«Allora, ragazzo, tu sei stato vicino alle cento morti, mi dirai finalmente: 'Alla sua salute, Maestà!'?»
«No, Maestà, finché sua figlia non sarà mia moglie!»
«La principessa non sarà tua moglie, sono sicuro!» pensò il re, anche se avrebbe dato qualsiasi cosa per sentire dire da lui: 'Alla sua salute, Maestà!'. «Ti accontenterai anche di meno...»
Il re fece preparare la carrozza di velluto, fece sedere accanto a lui il pecoraio dagli occhi di stelle e andarono verso il bosco d’argento. Arrivando egli disse al ragazzo:
«Pecoraio, vedi questo bosco d’argento? Te lo regalerò se mi dirai: 'Alla sua salute, Maestà!'»
«Non lo dirò, Maestà, finché sua figlia non sarà mia moglie!»
Uscendo dal bosco d’argento videro un castello d’oro, splendente, che quasi li accecò.
«Pecoraio, vedi quel castello d’oro? Te lo regalerò se mi dirai: 'Alla sua salute, Maestà!'»
«Non lo dirò, Maestà, finché sua figlia non sarà mia moglie!»
Continuarono ancora la strada ed arrivarono fino al lago di diamanti.
«Allora, pecoraio,» disse il re «ti regalerò il bosco d’argento, il castello d’oro ed il lago di diamanti se mi dirai una volta soltanto: 'Alla sua salute, Maestà!'», e poi continuò: «Va bene, birichino, mia figlia sarà tua moglie, però dopo devi dirmi: 'Alla sua salute, Maestà!'»
Quando tornarono al castello, il re annunciò a tutto il paese la notizia delle nozze di sua figlia con il pecoraio ed invitò tutti i suoi sudditi a partecipare alla cerimonia ed ai festeggiamenti: ci sarebbe stato da bere e mangiare per tutti, specie se tutti gli invitati avessero portato con loro cibi e bevande.
Fecero una cerimonia di matrimonio tale, che la sua fama arrivò ovunque. Il pecoraio dagli occhi di stelle si sedette accanto al re, mangiarono, bevvero, si divertirono con serenità. Quando portarono la carne con il cren, il re starnutì una volta e subito suo genero cominciò a dire velocemente senza fermarsi:
«Alla sua salute, Maestà; alla sua salute, Maestà; alla sua salute, Maestà!» per circa cento volte.
«Ahi, ahi, ahi! Lascia stare, non continuare! Piuttosto ti regalerò tutto il mio paese!»
Subito incoronarono il pecoraio: egli divenne il re. Durante il suo regno la sorte del popolo divenne migliore. Tutti i suoi sudditi l'amarono. Quando egli starnutiva, gli gridavano di cuore e molto volentieri: «Alla sua salute, Maestà!»
Chi non mi crede, verifichi pure!