FIABE UNGHERESI

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zzuccarata
00venerdì 28 ottobre 2005 12:06
I signori assetati

Una volta, re Mattia tornava dalla caccia insieme al suo corteo. Passando accanto un canneto, il re vide che le canne erano molto essiccate e che avevano bisogno di pioggia.

- Ci vorrebbe la pioggia per queste canne! – disse.

I signori, che lo accompagnarono, sorridevano a queste parole.

- Maestà, che serve la pioggia per le canne quando la loro radice sta in acqua?

Mattia non rispose, ma dentro di sé preparava un piano.
La sera invitò i signori per cena, fece togliere le loro scarpe, mettendo i piedi in una bacinella.
La tavola era imbandita con pietanze squisite, ma da bere non c’era niente.
I signori avevano ormai una grande sete, ma non avevano coraggio di aprire bocca.
Alla fine, uno di loro non ce la fece più e disse al re:

- Maestà, ci hai dato da mangiare le pietanze più deliziose, ma hai dimenticato le bevande; abbiamo tutti la gola secca.

Rispose il re:

- Ma guarda un po’, avete i vostri piedi nell’acqua e voi parlate di sete?

Capirono i signori l’allusione e si vergognarono.
Non sorridevano più alle sue parole, per quanto fossero strane.


Mattia - "Il Giusto"

(1440 - 1490)







Mattias era figlio dell'eroe János (Giovanni) Hunyadi, che si era distinto
nelle battaglie contro i turchi. Al suo nome si lega la vittoria di
Nándorfehérvár (oggi Belgrado) nel 1456, che fu talmente importante, che
il papa ordinò in tutto il mondo cristiano di suonare le campane a
mezzogiorno per ricordare l'evento. Jànos è morto subito dopo la battaglia
a causa di un epidemia, che decimava i soldati. All'epoca regnava
V.Ladislao, re debole e giovane, cresciuto nella corte dell'imperatore
Federico, che lo teneva come pegno insieme alla corona ungherese per
assicurarsi il potere sull'Ungheria. Il re, influenzato da alcuni potenti
nobili, che erano gelosi del potere dei Hunyadi, si convinse che i figli
dell'eroe (Ladislao e Mattia) lo volessero detronare, perciò con inganno
li chiamó a Buda, dove furono imprigionati. Il fratello di Mattia fu in
segreto decapitato, è il suo nome infangato, come traditore. Il malfatto
causò tanto scandalo, che travolse tutto il paese. Gli scontenti si
armarono e si avviarono verso Buda. Il re, spaventato, fuggì a Vienna, poi
a Praga, portando con sè Mattia, che allora aveva 17 anni. Il re morì in
circostanze misteriose, e Mattia dovette sposare la figlia del re ceco per
ottenere la libertà. Mattia ritornò a Buda, dove il parlamento lo elesse
ad unisono re. Fuori decine di migliaia di persone, soldati e civili
aspettavano il risultato, e la loro gioia era indescrivibile.
Con il regno di Mattia cominciò una delle (poche) epoche più felici per
l'Ungheria. Organizzò il suo esercito fortissimo - la famosa Armata Nera -
con cui liberò i Balcani dai turchi, che poi chiesero la pace. Dovette
fare però i conti con nemici molto più insidiosi, come l'imperatore
Federico, che cercava accapparrarsi il trono con ogni mezzo, e non esitava
a rompere i suoi giuramenti. L'imperatore faceva doppio gioco, e tramava
col re ceco e col re polacco contro Mattia. Mattia ha dovuto occupare il
castello di Vienna per costringere l'imperatore a rispettare gli accordi
fatti.
I paesi occidentali lo sostenevano solo con belle parole, ma mancavano di
aiuto concreto nelle battaglie, però non esitarono a chiedergli aiuto
quando i turchi attaccarono Otranto, che lui generosamente accordò. I
turchi alla notizia dell'arrivo degli ussari si ritirarono.
Tra i nemici aveva anche alcuni nobili potenti, che sull'istigazione
dell'imperatore organizzavano una rivolta, che non fu sostenuta nè dal
popolo, nè dalla piccola nobiltà e così finì in ridicolo. Mattia era
sempre pronto a perdonare, aveva pure troppa pazienza coi suoi nemici.
Era molto colto e si è circondato da scienziati ed artisti. Chiamò
dall'Italia i migliori architetti, pittori, scultori per abbellire il
castello di Buda, il quale - secondo le parole dell'inviato papale - non
aveva rivali nemmeno in Italia, nemmeno il palazzo di Salomone poteva
essere più splendente. La sua biblioteca fece invidia in occidente e in
oriente. Purtroppo ne è rimasto ben poco dopo il dominio turco di 150
anni.
Mattia pretendeva tasse pesanti, e rese il servizio militare obbligatorio
in caso di necessità, che era indispensabile per la difesa del paese,
specialmente quando dovette combattere da solo i turchi e tener d'occhio
gli altri suoi nemici. Sebbene severo, Mattia era giusto, ed usava la
stessa misura per poveri e potenti. Attorno la sua figura si tessevano
tante leggende e fiabe in cui egli - qualche volta travestito - prendeva
la parte del debole e faceva sì, che la giustizia trionfasse sempre.
Quando morì (avvelenato?), tutto il paese era in lutto e si diceva: "Morto
Mattia, addio giustizia". Infatti era così.
zzuccarata
00venerdì 28 ottobre 2005 12:08
GocciaDiParadiso
00venerdì 28 ottobre 2005 20:18





CHE BELLOOOOOO

qualcuno legge le favole Ungheresi..... un [SM=g28003] da una tzigana a cui manca il suo bel Danubio Blu
zzuccarata
00mercoledì 2 novembre 2005 20:36
(omaggio alla bella Magda) :-)
IL PECORAIO DAGLI OCCHI A STELLA






Dov’era, dove non era, c’era una volta un terribile re. Egli aveva un enorme potere e tutti i popoli del mondo avevano paura di lui. Vedendolo già da lontano, cominciavano tutti a tremare come foglie di pioppo. Quando egli starnutiva l’intero paese doveva dire: «Alla sua salute!» Nessuno osava non dirlo, salvo un giovane pecoraio dagli occhi di stelle. Quando questo terribile re seppe di lui s’arrabbiò molto ed ordinò di catturarlo.

«Eccolo, Maestà, è proprio lui che non vuole dire: 'Alla sua salute!'

Il re arrabbiato disse urlando al pecoraio:

«Dimmi subito: 'Alla mia salute!'»

«Alla mia salute!» disse il pecoraio dagli occhi di stelle.

«Non a te, a me, mascalzone!» urlò il re.

«A me, a me, Maestà!»

«Ma a me, tu, disgraziato!» urlò il re fuori di sé «Dimmi immediatamente: 'Alla salute, Maestà'!»

«No, io non lo dico finché sua figlia non sarà mia moglie!»

La principessa si trovava nella stanza e questo pecoraio coraggioso le piacque, avrebbe perciò volentieri accettato di diventare sua moglie, ma non ebbe coraggio di manifestare questa sua volontà. Il re non fu affatto contento, anzi la sua faccia cambiò dalla rabbia anche colore: diventò viola, verde, azzurra e subito ordinò di rinchiudere il pecoraio nella prigione:

«Buttatelo nella prigione in cui si trova l’orso bianco che non mangia nemmeno un boccone già da tre giorni. Il pecoraio pensò di perdere subito la vita. Miracolo nel miracolo! L’orso bianco invece, come vide gli occhi a stella del pecoraio, si ritirò nell’angolo più lontano della prigione e non lo toccò.

La mattina successiva arrivò il siniscalco per raccogliere le ossa del pecoraio, sicuro che egli fosse stato mangiato dalla bestia affamata. Fu stupito di trovarlo in ottima salute! Lo ricondusse dal re.

«Pecoraio, sei stato vicino alla morte. Tu, mascalzone, dirai adesso finalmente 'Alla sua salute, Maestà!'?» gli intimò il re.

Il pecoraio invece gli rispose:

«Non ho paura neanche di dieci morti! Lo dirò solo se la principessa sarà mia moglie!»

«Vai alle dieci morti! Buttatelo nella prigione dei dieci ricci giganti!»

Il pecoraio stavolta ebbe un problema non da poco. I dieci ricci giganti non diventarono gentili e calmi giacché egli non poté guardare nei loro occhi contemporaneamente. Fortunatamente, sotto la mantella egli aveva un flauto straordinario: non appena lo suonò, i ricci giganti si misero a ballare finché non crollarono sfiniti. La mattina il siniscalco lo ritrovò tutto intero:

«Sei ancora vivo?»

«Sì, e non morirò finché la principessa non sarà mia moglie!»

Il guardiano lo condusse davanti al re.

«Allora, ragazzo, eri nella gola delle dieci morti. Mi dici finalmente 'Alla sua salute, Maestà!'?»

«Lo dirò soltanto se la principessa sarà mia moglie!»

«Portatelo allora alla prigione delle cento morti!» urlò il re con gran furia.

I guardiani portarono il pecoraio dagli occhi di stelle nella prigione delle cento morti in cui c’era un pozzo dalle cui pareti interne uscivano cento falci ed al fondo del quale c’era una fiamma. Chi vi veniva buttato non rimaneva vivo, era destinato a morte sicura!

«Ehi, povero me...» pensò dentro di sé il pecoraio dagli occhi di stelle «questo non è affatto uno scherzo!» Disse ai guardiani di uscire un po’ dalla prigione perché voleva riflettere se dire 'Alla sua salute, Maestà!'. I soldati uscirono ed il pecoraio attaccò la sua azza al parapetto del pozzo poi pose sopra la sua bisaccia, il mantello e il cappello e si nascose nell’angolo buio della prigione. I soldati rientrarono e gli chiesero:

«Allora ci hai ripensato?»

«Ho riflettuto, ed ho deciso di non dire: 'Alla sua salute, Maestà!'» rispose loro.

«Se non lo dirai, allora dobbiamo gettarti nel pozzo.»

I soldati credettero che la sagoma accanto al pozzo fosse il corpo del pecoraio e ve lo buttarono. Quando videro il fuoco spegnersi pensarono che il pecoraio fosse sicuramente morto.

La mattina successiva arrivò il siniscalco per accettarsi personalmente della morte del pecoraio dagli occhi di stelle. Non volle credere ai suoi occhi: era seduto accanto il pozzo e suonava il suo flauto. Lo riportò davanti al re che gli disse:

«Allora, ragazzo, tu sei stato vicino alle cento morti, mi dirai finalmente: 'Alla sua salute, Maestà!'?»

«No, Maestà, finché sua figlia non sarà mia moglie!»

«La principessa non sarà tua moglie, sono sicuro!» pensò il re, anche se avrebbe dato qualsiasi cosa per sentire dire da lui: 'Alla sua salute, Maestà!'. «Ti accontenterai anche di meno...»

Il re fece preparare la carrozza di velluto, fece sedere accanto a lui il pecoraio dagli occhi di stelle e andarono verso il bosco d’argento. Arrivando egli disse al ragazzo:

«Pecoraio, vedi questo bosco d’argento? Te lo regalerò se mi dirai: 'Alla sua salute, Maestà!'»

«Non lo dirò, Maestà, finché sua figlia non sarà mia moglie!»

Uscendo dal bosco d’argento videro un castello d’oro, splendente, che quasi li accecò.

«Pecoraio, vedi quel castello d’oro? Te lo regalerò se mi dirai: 'Alla sua salute, Maestà!'»

«Non lo dirò, Maestà, finché sua figlia non sarà mia moglie!»

Continuarono ancora la strada ed arrivarono fino al lago di diamanti.

«Allora, pecoraio,» disse il re «ti regalerò il bosco d’argento, il castello d’oro ed il lago di diamanti se mi dirai una volta soltanto: 'Alla sua salute, Maestà!'», e poi continuò: «Va bene, birichino, mia figlia sarà tua moglie, però dopo devi dirmi: 'Alla sua salute, Maestà!'»

Quando tornarono al castello, il re annunciò a tutto il paese la notizia delle nozze di sua figlia con il pecoraio ed invitò tutti i suoi sudditi a partecipare alla cerimonia ed ai festeggiamenti: ci sarebbe stato da bere e mangiare per tutti, specie se tutti gli invitati avessero portato con loro cibi e bevande.

Fecero una cerimonia di matrimonio tale, che la sua fama arrivò ovunque. Il pecoraio dagli occhi di stelle si sedette accanto al re, mangiarono, bevvero, si divertirono con serenità. Quando portarono la carne con il cren, il re starnutì una volta e subito suo genero cominciò a dire velocemente senza fermarsi:

«Alla sua salute, Maestà; alla sua salute, Maestà; alla sua salute, Maestà!» per circa cento volte.

«Ahi, ahi, ahi! Lascia stare, non continuare! Piuttosto ti regalerò tutto il mio paese!»

Subito incoronarono il pecoraio: egli divenne il re. Durante il suo regno la sorte del popolo divenne migliore. Tutti i suoi sudditi l'amarono. Quando egli starnutiva, gli gridavano di cuore e molto volentieri: «Alla sua salute, Maestà!»

Chi non mi crede, verifichi pure!

Aronne1
00giovedì 3 novembre 2005 07:56

TI CREDO!!!!!!!!!!!! [SM=g28002]
danzandosottolaluna
00venerdì 4 novembre 2005 23:29
Sempre più piacevoli le tue sorprese! [SM=g28003]
GocciaDiParadiso
00sabato 5 novembre 2005 01:41




CARO



sai che ti dico che tra dediche di poesia e favole, quasi quasi ti sposo..... [SM=g27988]

Bella.......... questo non so da dove lo hai dedotto!!!!


sei un tesoro [SM=g28003]
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