00 17/06/2005 16:40
Quando Linux fa politica


Il pinguino è solo software? O è il nuovo simbolo
della sinistra rivoluzionaria?




Cuba e Linux? Non caschiamoci.



L'annuncio che il governo cubano switcherà i propri sistemi informatici da Microsoft a Linux è in realtà una non-notizia: viene troppo in ritardo rispetto ai paesi pionieri centro e sud americani, e sostanzialmente non stupisce nessuno. Semmai, ci colpisce il fatto che, fino ad oggi, le reti informatiche del dittatore Fidel siano state interamente made in Redmond.


Tuttavia, nel contesto generale, anche un fatto insignificante come questo finisce per avere la sua importanza: Brasile, Venezuela, Argentina, Germania, India, Sud Africa, Cina, Russia e Corea del sud sono soltanto alcuni dei paesi il cui governo, sotto varie forme, ha abbracciato la causa del pinguino.

E non si tratta di semplici operazioni di facciata: in tutti questi paesi la crescita annua percentuale di Linux è ampiamente in doppia cifra, mentre si ferma all'8 per cento, per esempio, in Messico, dove è al potere un governo (che peraltro si autoproclama rivoluzionario) più fedele alla causa di zio Bill.

Queste considerazioni geopolitiche rinfocolano il dibattito tra i sostenitori di Linux, da sempre divisi tra coloro che ne sostengono la natura politica e quelli che invece vedono in esso solo questioni tecniche. La crescita di Linux e del FLOSS (Free/Libre/Open Source Software) in generale, nei paesi in via di sviluppo ci impone di prendere una posizione: il pinguino è un rivoluzionario sistema di cooperazione o soltanto un sistema operativo?

Sarebbe riduttivo attribuire la scelta di questi paesi solo a considerazioni economiche di breve periodo (Linux è gratis, quindi si risparmiano un sacco di palanche).

In realtà vi sono ragioni politiche, e il caso di Cuba ne è l'esempio più lampante. Dipendere da Microsoft significa dipendere dalla potenza militare dominante, dalla politica estera aggressiva e a favore degli interessi delle multinazionali.

L'argomento è affrontato in maniera propagandistica e superficiale da Linux Insider che sostiene che la corsa al pinguino somiglia molto alla "corsa allo spazio", in cui motivi di orgoglio nazionale e propaganda politica affiancano, e spesso sopravanzano, i motivi economici.

Secondo Scott Testa, esperto di reti intranet, Linux è una facile bandiera che i paesi anti-americani, in particolare quelli socialisti, sventolano in maniera strumentale. La Cina, per esempio, è convinta che una nazione sviluppata debba avere il controllo della propria infrastruttura, di qui i forti investimenti nello sviluppo di Asianux.

La verità è difficile da far emergere, soprattutto se i protagonisti amano, come in questo caso, i toni forti. Certo, il software libero ha un'impostazione filosofica che sarebbe ipocrita definire non politica. Ma di qui a farne un vessillo del socialismo reale, ce ne corre davvero. I concetti fondamentali del FLOSS (la condivisione delle conoscenze, la piena libertà di utilizzo, modifica e distribuzione) sono difficilmente inscrivibili nelle quotidiane pratiche di oppressione, di destra o di sinistra.

In realtà, l'uso di software libero nell'amministrazione pubblica ha ragioni soprattutto economiche. Non si tratta però del risparmio immediato in licenze, ovvio e attaccabile dalle campagne tipo "get the facts", ma di economia nazionale di lungo periodo.

L'opensource richiede personale locale altamente qualificato, ma è in grado, grazie alla libera disponibilità dei sorgenti, di formare in maniera degna questa categoria di lavoratori.

Per chi sceglierà questa via, inizialmente in salita, le ricadute saranno numerose e importanti. Prima di tutto una maggiore indipendenza tecnologica dall'estero, indipendentemente da quale impero del male ci sia dall'altra parte, statunitensi, cinesi o marcabiani.

Questa indipendenza permetterà la crescita di micro-aziende locali, a cui saranno devoluti quasi tutti i soldi spesi per la personalizzazione, la manutenzione e l'adattamento del software, che invece circolerà libero e gratuito, sotto forma di conoscenza di base.

La presenza di tanti concorrenti scongiurerà il pericolo di formazione di monopoli, con indubbi vantaggi economici. Le pressioni dell'industria hardware per il turnover delle macchine saranno mediate dalla moltitudine dei programmatori opensource, per cui è prevedibile una maggiore durata dei computer.

Non è tutto: controllare, modificare, manipolare i sistemi informatici, per un paese povero, significa esercitare il diritto di fare innovazione. La ricerca tecnologica e la detenzione di conoscenze non deve essere un privilegio limitato a una minoranza danarosa di multinazionali, ma è un diritto fondamentale anche dei popoli esclusi.

Queste le motivazioni dello switch da parte di molti paesi in via di sviluppo. L'Europa, l'Italia in particolare, risponde con una legislazione su brevetti e copyright da repubblica delle banane. Segno, questo che l'atteggiamento delle autorità nei confronti dei padroni del copyright rasenta il servilismo.

Mettiamo da parte, quindi, bandiere, striscioni e molotov. Non permettiamo che Linux sia strumentalizzato dal socialismo rivoluzionario. Tuttavia, chi crede che sia solo un sistema operativo, privo di implicazioni politiche, è bene si tolga qualche fetta di prosciutto dagli occhi.


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[Modificato da lorette 20/06/2005 7.43]