00 21/01/2006 13:37
Animali Pericolosi in mediterraneo
Intossicazione da pesci andati a male


La pericolosità degli animali marini può manifestarsi anche “a tavola”, quando questi pesci, dopo averli cacciati, li mangiamo.

È noto che i tessuti eduli dei pesci e dei molluschi cadono in putrefazione molto rapidamente, determinando fenomeni di avvelenamento che possono paragonarsi a quelli caratteristici del botulismo.

Esistono dei pesci, la cui estrema facilità di corrompersi, specie alle nostre temperature estive, li deve far considerare come pericolosi o sospetti a meno che non siano in condizioni di assoluta freschezza.

Questo fenomeno si verifica particolarmente tra gli scombriformi e i tunniformi, quali tonno, tonnetto, bonito, palamita, alletterato, sgombro, tombarello, lanzardo, ecc.

È sufficiente che un esemplare di una di queste specie resti soltanto per due ore al sole immediatamente dopo essere stato pescato, perché si inizi nella sua carne quel processo di decomposizione capace di generare avvelenamenti.

Normalmente nei tessuti dei pesci è contenuta una sostanza chimica chiamata istidina.

La temperatura favorevole mette in azione alcuni batteri che sono sempre presenti nei tessuti stessi, e che trasformano questa sostanza in saurina, composto chimico del tipo istaminico che genera nell’ uomo violenti fenomeni di tipo allergico che iniziano pochi minuti dopo l’ ingestione e che generalmente si risolvono con prognosi favorevole dopo otto o dodici ore.

L’ ingestione sarà così seguita, entro pochi minuti, da cefalee, disfagia, nausea, vomito, dolori addominali, considerandosi comunque come segno tipico, la comparsa di arrossamenti cutanei in sede facciale.

Prurito, orticarie e broncospasmo sono più rari e possono essere confusi con segni di una reazione allergica. Effetti tossici a livello cardiaco sono rappresentati da un rapido indebolimento delle pulsazioni, da palpitazioni e disturbi del ritmo.

La durata dei sintomi si aggira solitamente intorno alle 24 ore.

Purtroppo però se il pesce ingerito è molto, la prognosi da favorevole diviene infausta e possono verificarsi quei casi letali di cui spesso leggiamo sulle cronache dei giornali, specie nei mesi estivi, ma si potrà avere giovamento con sostanze ad azione antistaminica.




Parassiti dei pesci

trasmissibili all' Uomo


Un gran numero di parassiti che trascorrono i loro stadi larvali nei teleostei marini o d’acqua dolce sono potenzialmente trasmissibili all’uomo se ingeriti crudi o poco cotti.

Il miglior modo per ridurre il livello d’infezione nell’uomo è un’educazione alimentare che consigli alla popolazione di non cibarsi di pesce crudo o appena salato.

Cuocendolo normalmente a 60° C o tenendolo in congelamento a basse temperature a meno 20° C si ha l’eliminazione dei parassiti.

Diciamo subito che nel Mediterraneo non abbiamo alcun pericolo ma ad esempio nel mar Baltico il ciclo evolutivo comprende come primi ospiti dei batteri (in questo caso il Diphillobothrium latum),

Nei pesci tipo Codepodi per poi passare ad un altro ospite intermedio (ad esempio un pesce predatore) incistandosi nella muscolatura e nelle viscere, per poi essere mangiato dall’ uomo.

Anche in varie parti del mondo abbiamo il problema della zoonosi la più grave per l’esito in alcuni casi fatale per l’ uomo lo riscontriamo nelle Filippine con il batterio Capillaria philippinensis.



Parassiti e batteri: pericoli del pesce crudo

Con l’ aumento delle popolarità della cucina giapponese e del sushi, le parassitosi e le infezioni batteriche intestinali sono più frequenti. Questi problemi sono, però, legati al consumo di pesce crudo: la cottura (sopra i 60° C) o la surgelazione (a –18° C per 24 ore) li previene totalmente.

Il salmone del Pacifico, l’ aringa, il merluzzo e l’ haddock sono le specie che più frequentemente sono portatrici di vermi a nastro o cilindrici parassiti.

I vermi a nastro che provengono da pesci infestati da larve possono provocare dolori e crampi addominali, diarrea, spossatezza, anemia e perdita di peso. I vermi cilindrici non causano, generalmente, disturbi e la loro scoperta è occasionale (vermi nelle feci o nel vomito).

Un altro parassita comune nel pesce, ma non nei molluschi, la larva del nematode anisakis, penetra la mucosa gastrica, provocando la Anisakiasi, una sindrome dolorosa addominale che può simulare l’appendicite.


Prevenzione delle parassitosi

Il problema può essere limitato già all’origine con il precoce sventramento del pesce pescato, per prevenire la migrazione dei vermi dalle viscere alle carni del pesce. Dopo lo sventramento il pesce dovrebbe essere surgelato.


Infezioni batteriche

La possibilità di contrarre un’ infezione batterica mangiando pesce crudo o poco cotto è rara, ma a volte mortale.

Il batterio più pericoloso è un vibrione, il Vibrio vulnificus, che si può trovare nelle ostriche e nei bivalvi crudi.

Solo 14 mangiatori di ostriche su 3 milioni hanno contratto la malattia in Florida nel 1994, ma otto di loro sono morti.

I sintomi compaiono dopo circa 24 ore con febbre, brividi, nausea, vomito, diarrea e un’eruzione cutanea caratterizzata da ampie lesioni della pelle.

I più suscettibili sono gli anziani con depressione del sistema immunitario e gli individui affetti da patologie gastriche o epatiche.


Prevenzione dell’infezione da Vibrio vulnificus

L’ unica prevenzione è la cottura dei molluschi.





Avvelenamento da animali marini

attivamente tossici


Una classificazione zoologica delle biotossine dei pesci non esiste.

L’ unico comune denominatore pare che questi pesci si riscontrano prevalentemente nelle regioni calde tropicali.

E ciò potrebbe essere una indicazione su eventuali rapporti fra tossicità e ambiente.

Però, mentre alcune specie sono sempre tossiche, in altre la tossicità si manifesta o si accentua in certi periodi dell’anno; mentre in molti pesci la tossina è distribuita in tutto il corpo, in altri essa si trova localizzata nelle gonadi o nei visceri o nella pelle o nel sangue.

Da aggiungere infine che i sintomi dell’ avvelenamento sono assai diversi, fatto dovuto non solo alla quantità della tossina presente ma alla sua natura chimica e molto probabilmente alla presenza di più di una tossina in una stessa specie.

La nomenclatura in uso per indicare le tossine dei pesci non viene certo in aiuto.

Il nome comune a tutte dovrebbe essere quello di ittiotossine.

Ma qualcuna è indicata col nome indigeno dato da certe popolazioni e che è rimasto nell’ uso, come per esempio la ciguatossina; altre prendono il nome dal gruppo zoologico al quale l’ animale appartiene, come per esempio la tetrodotossina dalla famiglia di pesci Tetrodontidae; altre volte al nome ittiotossina è stata aggiunta una particella per indicare la topografia del veleno: ittio-ovotossina se esso è localizzato nell’ovaio, ittio-emotossina se nel sangue, ittio-sarcotossina se nei muscoli, ittio-crinotossina se nelle ghiandole della pelle.

Qualche autore si è ispirato perfino ai sintomi dell’avvelenamento.

Così per esempio per indicare la tossina di certi pesci che causerebbe allucinazioni, è stato inventato il nome, a dir poco bizzarro, di ittio-alleinotossina!